I MAITUNAT DI GAMBATESA
I MAITUNAT DI GAMBATESA
Nel 1570 l’Universitas di Gambatesa chiese al Conte il permesso di “andar di notte cantando et facendo musiche” ed il Conte concesse il proprio “Placet”.
Oggi, allo stesso modo, la popolazione di Gambatesa vive la notte di capodanno Cantando et Facendo musiche.“I Maitunat” di Gambatesa come elemento originale e tipico del territorio molisano che, da secoli, attraverso la tradizione orale, è presente nella nostra cultura e che, sebbene diffusa anche in zone limitrofe, ha trovato a Gambatesa un terreno fertile e nel popolo di Gambatesa un fedele custode della tradizione.
A Gambatesa, infatti, la tradizione de “i maitunat” costituisce qualcosa di più di una semplice manifestazione di folclore giacché coinvolge l’intera collettività, tutta intenta com’è nel cantare questi particolarissimi stornelli augurali dalla tipica melodia: “I Maitunat”.
Da rilevare, non da ultimo, come notevole sia il flusso di turisti che converge sul nostro comune per partecipare e lasciarsi coinvolgere nel “più antico capodanno del molise”.
La tradizione è, oggi, custodita dall’Associazione Culturale “I Maitunat” (costituita il 5/09/2000 e, con Decreto n. 10 del 07/02/2001, iscritta al Registro Regionale delle Associazioni Culturali al n. 64). L’Associazione è totalmente composta da giovani del luogo e, secondo quanto stabilito dalla citata Legge, è senza scopo di lucro ed opera nel campo della promozione turistica, sociale e culturale della realtà locale con particolare riguardo al patrimonio musicale popolare. Nello specifico, l’Associazione Culturale “I Maitunat” ha già curato (e continua a farlo) una serie di progetti di valorizzazione delle risorse naturali, culturali e turistiche connesse con la tradizione de “I maitunat”.
I maitunat
Gambatesa. E’ il giorno del 31 dicembre, la vigilia di capodanno. Si sente nell’aria che non sarà il solo passaggio dal vecchio al nuovo anno ad essere festeggiato, ma qualcosa di molto più sentito e particolare: un evento unico e speciale. Chiara è la percezione che una grande e lunga attesa sta’ per concludersi e, se è vero che i luoghi si caricano delle sensazioni di coloro che vi abitano prendendone la forma e propagandone l’aurea, si ha la netta impressione che qualcosa è in procinto di avvenire; forse una fragorosa e colorata esplosione folcloristica. L’intero paese, dopo un anno d’attesa, è pronto a immergersi nuovamente nella secolare tradizione de I maitunat. Per le strade del borgo il movimento è continuo: gli antichi strumenti artigianali vengono controllati e personalizzati, le “squadre” vengono completate, si fissa l’appuntamento per iniziare. Giunta l’ora di cena, l’antico rito delle maitunat è pronto per essere nuovamente ripetuto. Lo spettacolo può finalmente iniziare e il divertimento più puro, originale e popolare sta per essere esaltato e festeggiato.
L’antico stornello risuona ovunque e in un vortice di musica canti e balli le varie “squadre” si esibiscono per tutto il paese generando un’atmosfera festosa, calda e coinvolgente. Giovani, anziani, adulti e bambini, si dilettano nell’improvvisare i maitunat prendendo di mira, in tono scherzoso e canzonatorio, i padroni delle case in cui si recano. Godendo di una tacita immunità, limitata alla sola manifestazione, vengono messi alla berlina non solo personaggi pubblici della vita paesana, ma anche gente normale con qualche scheletro nell’armadio o i protagonisti di qualche episodio eclatante. Non c’è casa di poveri o ricchi, umili o potenti, ignoranti o dotti, che si rifiuti di ricevere le maitunat e concedere ospitalità. Ogni cantore, accompagnato dalla sua squadra, improvvisa le sue rime con quello stile che le rende uniche.
Un tentativo di analisi
Descrivere un fenomeno folkloristico come quello delle maitunat o analizzarlo in modo scientifico, cercando di estrapolare da esso i vari aspetti antropologici, sociali, culturali e rituali non è affatto cosa facile soprattutto quando tale fenomeno è intriso di spontaneità e naturalezza. Cosa ancor più ardua potrebbe essere il dover spiegare tale tradizione a chi non vi ha mai preso parte o non si è mai lasciato trascinare dalla particolare atmosfera del capodanno gambatesano. A queste ultime si sommano difficoltà di tipo scientifico, giacché all’incertezza storiografica delle origini e alla mancanza di fonti, si affianca l’aleatorietà tipica di ogni tradizione orale.
La mancanza di documentazione storica scritta sulle maitunat non permette, infatti, di datare in modo preciso la nascita di questa centenaria espressione folkloristica e, specificamente, di quella gambatesana. Se da un lato, questo testimonia la sua antichità, dall’altro, rende necessaria una indagine secondo diversi criteri di ricerca essendo stata tramandata fino ai nostri giorni principalmente in forma orale. L’integrità della tradizione, la sua forza di suscitare profonde emozioni nell’animo di un’intera comunità, con il suo coraggio di percorrere i secoli rinnovandosi di continuo, non può prescindere da un’eredità per così dire “genetica” dei gambatesani che la tramandano e la rinnovano nel tempo.
I capitoli del ’500
Il primo atto che vogliamo citare sono i “capitoli” del 1570. La popolazione di Gambatesa, attraverso un atto pubblico quali “I capitoli”, una forma di supplica-istanza, chiede al Conte che concede il suo “placet”, il permesso “… che possino li giovani andar cantando et facendo musiche. Una evidente testimonianza di come la musica e il canto facessero parte delle “necessità” del nostro popolo. È, dunque, necessario soffermarsi su cosa potesse indicare l’espressione “facendo musiche”.
Gli affreschi del Castello di Gambatesa, realizzati nel 1550, ci offrono, a questo riguardo, una valida chiave di lettura. In un affresco al secondo piano del Castello è raffigurato un ragazzo che suona uno strumento musicale. Secondo gli studi della Soprintendenza alle belle arti del Molise, pubblicati in un volume dal titolo “La Medusa e il ragno. Studi sui di Capua nel Molise del Cinquecento” (a cura di Daniele Ferrara, edito dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Direzione Regionale della Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici del Molise, nel testo redatto da Vincenzo Lombardi “Il putto mancino, frammenti di storie musicali”) quella rappresentata dall’artista è una scena di vita quotidiana: i dettagli dell’affresco “fanno pensare alla presenza dello strumento presso il castello, posto all’osservazione diretta dell’artista”. L’autore degli affreschi si sarebbe ispirato a scene di vita reale, molto probabilmente, con un vero e proprio strumentista mancino come modello.
Lo stesso studio della Sovrintendenza conclude, dunque, affermando che: “comunque, non si può escludere che presso il Castello di Gambatesa, seppure periferico rispetto ai maggiori centri culturali dell’epoca, vi fosse una pratica musicale non dissimile da quella esistente fra le attività culturali delle corti delle maggiori famiglie dell’antico Regno di Napoli”.
A Gambatesa nella metà del 1500 si studiava e conosceva la musica.
La tradizione de I Maitunat
Da secoli questa tradizione stimola la capacità dei cantori di Gambatesa nel creare rime e trasformare queste rime in canzoni. Le foto più antiche de i Maitunat, risalenti agli anni 30 del 1900, ritraggono squadre di capodanno composte da suonatori, non solo di organetti, strumento tipico dei pastori, ma anche e soprattutto di fisarmoniche, strumenti ben più complessi e costosi non appartenenti alla cultura delle bande musicali da giro. Ma da dove provengono i maitunat? Qual è l’etimologia della parola, Analizzando la storia e la letteratura si possono riscontrare diverse forme espressive che, vuoi per la loro funzione sociale, vuoi per l’interpretazione, ovvero per lo scopo, vi assomigliano.
Mentre è possibile stimare che questo fenomeno etnomusicale si ripeta a Gambatesa perlomeno da tre secoli, si deve, parimenti, rilevare che, in questo arco temporale, i maitunat si siano molto rinnovate sviluppandosi nella forma, nello fine e nello stesso modo di essere interpretate, pur restando fedeli alla natura e alla originale specificità. Il loro mutamento, con molta naturalezza e spontaneità, è avvenuto parallelamente alle dinamiche sociali, culturali e politiche che hanno influenzato l’intera società molisana e gambatesana in particolare.
Ipotesi sulle origini e sul significato del termine “maitunat”.
Le differenti ipotesi etimologiche hanno seguito percorsi diversi, alcuni dei quali indubbiamente superficiali e marginali, come il tentativo di accostare la parola “maitunat” a “maintunat”, vale a dire “mai intonata”. Quest’ultima ipotesi si fonderebbe sull’estemporaneità e sull’improvvisazione con la quale i cantori eseguono la stornello, ma questa tesi può essere subito smentita se si considera il fatto che il termine “maitunat” è utilizzato in molti altri paesi molisani nei quali lo stornello non è improvvisato, ma precostituito. Del tutto trascurabile, poi, l’ipotesi secondo cui maitunat deriverebbe da “maitino-mattino”, proprio per la consuetudine di tirar tardi fino al mattino, o da “mattonata” quasi fossero delle simboliche mattonate scagliate sugli inermi destinatari.
Per quanto riguarda l’origine storica e antropologica delle maitunat, è imprescindibile far riferimento al teatro classico di Plauto e di Terenzio, alla farsa delle “atellane” e nella licenziosità dei “fescennini” che restano il punto di partenza per qualsiasi analisi seria. Una suggestiva ipotesi ce la fornisce Antonio Fratangelo (cf. A. Fratangelo, “Dalla lingua d’Europa alle lingue europee”, Siena, 2006: Annibal Putequa), studioso di lingua fenicia e grande sostenitore dell’ipotesi della presenza punica nell’area del Fortore. Questo autore afferma che, traducendo dal fenicio il termine mtnt “offerta–canti d’offerta”, si giungerebbe ad un soddisfacente risultato inquadrando il fenomeno nel vasto panorama dei riti del fuoco, inteso come purificazione e rinnovamento del passato. In tale prospettiva, quindi, nelle antiche ritualità del capodanno, connesse col passaggio dal vecchio al nuovo anno, andrebbero annoverate anche le maitunat. La caratteristica di “canto di questua” delle maitunat è un elemento indiscutibile ed ancora vivo, nonché oggettivamente rilevabile anche nella attuale pratica di questo antico rito.
Ad approfondire tale aspetto che, meglio di altri chiarisce le origini storiche e la natura delle maitunat, è utile attingere agli studi di alcuni importanti antropologi. Secondo Mircea Eliade (cf. M. Eliade.“Il mito dell’eterno ritorno”, Roma, Ed. Borla, 1966), ogni cultura ha una concezione ciclica del tempo, scandita da rituali che hanno il fine di abolire il ciclo temporale trascorso, ricreare il caos primigenio della creazione e preparare il terreno per un nuovo ciclo. I riti che, ad esempio, si svolgono tra il vecchio e il nuovo anno rientrano in tale tipologia e sono definiti “riti di passaggio”. Già nell’antica Roma, i riti di passaggio erano legati ai “saturnali” (che iniziavano il 17 dicembre) ed erano una festa che proponeva il ritorno della “Aurea Aetas”. Nel folklore europeo i riti di passaggio si svolgono, ad esempio, nei cosiddetti “12 giorni” che secondo Dumézil (cf. G. Dumézil, “Rituels indo-européens à Rome”, Parigi, Klincksieck, 1954) sono frutto della cultura cristiana (ciclo: nascita, morte, risurrezione), mentre, secondo altri, avrebbero una origine indoeuropea quali riti di passaggio che si caratterizzano, comunque, come riti di periodizzazione liminare (di confine).
Fra i rituali che si tengono nei “12 giorni” vi sono, ad esempio, i mascheramenti (soprattutto nel nord Europa) e le purificazioni e i canti di questua nel sud Italia. A questo riguardo, l’antropologo francese Arnold Van Gennep (cf. A. Van Gennep, “I riti di passaggio” (tit. or. Les rites de passage, Paris 1909). Torino, Bollati Boringhieri, 2002) ha analizzato l’importanza che assume la “vigilia” quale giorno in cui, tra quelli dei “12 giorni”, si concentrano i riti più importanti. La “questua” sembra essere il rito, tra quelli citati dallo studioso, che più si avvicina alle maitunat, perlomeno da un punto di vista formale.
Le maitunat come espressione popolare di denuncia sociale
Le maitunat sono, dunque, anche una modalità artistica per dare sfogo a quell’animo popolare più puro e originale che, però, è spesso oppresso dall’autorità. Non sono mancati autori che hanno definito l’antico stornello “una palestra di democrazia”, collegando questa espressione alla sua funzione sociale di critica, sempre dai toni scherzosi, di un potere quasi sempre impopolare e repressivo. Le maitunat, a ben guardare, trovavano la loro forza e la loro legittimazione proprio in questa dimensione che consente di abbattere quel muro che divide le classi sociali. Ogni società, più o meno totalitaria, a dire il vero, conosce un momento in cui è ammessa la critica all’autorità. Tale evento, che solo apparentemente potrebbe sembrare una concessione democratica ed egualitaria, nasconde, in realtà, una rigida riaffermazione del potere e una solida riproposizione della divisioni sociali. La critica, infatti, è esercitata per concessione e per grazia dell’autorità ed è, per l’appunto, ammessa in una sola occasione (semel in anno licet insavire). Se fosse, invece, libero esercizio di un diritto non avrebbe limitazioni temporali o modali. Il “potente” concedendo la possibilità di critica o divenendo egli stesso un attore della manifestazione, mischiandosi ai popolani solo per quella notte, non fa altro che riaffermare la propria differenza rispetto al popolo sancendone, di fatto, la subalternità.
Dal punto di vista legislativo dobbiamo dire che non esiste alcun atto, sia di istituzioni civili sia di istituzioni religiose, che abbia autorizzato i gambatesani ad eseguire le maitunat l’ultimo giorno dell’anno. Negli archivi del Comune non è stata rinvenuta traccia alcuna in tal senso neanche ai tempi del repressivo regime fascista. Al contrario, si raccontano ancora aneddoti riguardanti la pratica delle maitunat anche in tempo di guerra nonostante la scure del coprifuoco. La ricerca di documentazione che legittimasse la centenaria tradizione si è rivelata vana anche negli archivi della Curia beneventana, competente per territorio fino ai primi degli anni ‘80 del 1900. Da questi archivi sembrava plausibile, infatti, l’ipotesi di rinvenire nei periodici resoconti dei parroci sul comportamento dei loro parrocchiani, una qualche denuncia di questi canti forse un po’ triviali o poco rispettosi della “buona creanza”, nonché irriverenti della collettività o, addirittura, della loro stessa persona. Bisogna dire, però, che Gambatesa ha, quasi sempre, avuto parroci nativi del luogo e questo potrebbe far deporre per una congeniale benevolenza per tale manifestazione che, infatti, veniva compresa nella sua bonaria specificità e, quindi, non ritenuta disdicevole o moralmente riprovevole. Anche presso gli uffici giudiziari e di pubblica sicurezza, tralasciando rarissimi episodi degli ultimi anni, non c’è segnalazione alcuna di denunce o querele a carico di cantori di maitunat o di episodi riferibili allo svolgimento della manifestazione. Il tutto a testimonianza della semplicità e bontà di tale piccolo-grande evento che è, allo stesso tempo, semplice e raffinato, popolare e culturale.
Sviluppo nel tempo delle maitunat
Al di là di cambiamenti o evoluzioni, quella che è rimasta immutata è la struttura e la natura dell’evento che continua a vedere gruppi di persone, muniti di organetti, fisarmoniche, strumenti a fiato, bufù e antichi e artigianali strumenti a percussione (pakktell’, sunaglier, strgulator), recarsi nelle abitazioni dei personaggi più in vista del paese per “portare” la maitunat. Da notare, tuttavia, che i destinatari non sono solo quelle persone che godono di maggiore visibilità per il loro ruolo politico, economico o sociale (come ad esempio il sindaco o il medico), ma anche, semplicemente, per essere delle persone attive e presenti nella vita quotidiana del paese (quali il calzolaio, il barbiere o il barista).
I gruppi o squadre di maitunat godendo di una sorta di immunità tacitamente concessa da tutti, possono permettersi, purché in modo sottile e mediato dal sarcasmo e dal doppio senso, di cantare vizi e virtù di queste persone che, altrimenti, difficilmente potrebbero essere criticate dalle masse popolari.
L’evoluzione delle maitunat nel XX° secolo può essere delimitata da una serie di fattori che vanno dal diverso modo di interpretare i maitunat, e dalle differenti finalità che hanno assunto nel corso del tempo, fino al modo di comporre le varie “squadre”, cioè i gruppi musicali.
I maitunat “antiche”.
La peculiarità, rispetto alle attuali maitunat, riguarda principalmente il fatto che l’antico stornello, alternato ad un ritornello sempre identico, era precostituito secondo diverse tipologie di destinatari e mancava, quindi, del requisito dell’improvvisazione. Al cantore spettava (oltre all’esecuzione canora vera e propria), il compito di scegliere il tipo di maitunat più adatta al destinatario e l’argomento sul quale canzonarlo. L’esecutore poteva scegliere, ad esempio, il tema dell’amore, del tradimento, della politica, del dissenso, dell’elogio o della critica.
Questo tipo di maitunat si caratterizzava per la sottile ironia e per il delicato doppio senso delle sue parole che, restando sempre nei limiti della pubblica moralità, riusciva, in maniera ironica e canzonatoria, a lanciare sempre il suo pungente messaggio. Oltre a celebrare il divertimento in tutta la sua purezza, erano due le caratteristiche delle c.d. maitunat antiche.
a) In primo luogo erano “canti di questua”. Tradizione diffusissima in tutta la regione, si realizzava in uno scambio tra colui che chiede ospitalità in casa e l’ospite stesso: il primo porge un augurio al padrone di casa (di solito con uno stornello precostituito) e l’altro l’accoglie in casa offrendo cibi e bevande.
b) La seconda finalità delle maitunat era (ed è) la denuncia sociale essendo, infatti, uno strumento con il quale il popolo, solo in quell’occasione, poteva esprimere, senza rischi, il proprio punto di vista sull’autorità costituita, con la speranza di un positivo cambiamento per l’anno seguente.
Riportiamo, a mo’ di esempio, una Maitunat c.d. antica di corteggiamento di un ragazzo a una ragazza (si tenga presente che è il medesimo cantore ad interpretare entrambi i personaggi)
Il ragazzo canta: E vurri d’vntà ‘nù surgill, p’ t’ fa nù cautill’ n’dà stà gunnèll
Rit. E mò c n’ jàmm cantin cantenn t’ lass nù bbondì buon capdann’
(Traduzione: Vorrei diventare un topolino per fare un buchetto nella tua gonna. (rit.) Ed ora ce ne andiamo cantando cantando, ti lascio un buongiorno e buon capodanno).
La ragazza risponde: E quant nà fatt stu’ jall spnnat Ca n’zè r‘trat mai a sua mascion
Rit. E mò c n’ jàmm cantin cantenn t’ lass nù bbondì buon capdann’
(Traduzione: Quante me ne ha fatte questo gallo spennato, che non è tornato mai a casa sua. (rit.) Ed ora ce ne andiamo … ).
Il ragazzo incalza: E quant nà fatt stà quartar brutta fatt, m sì vnut arret cumm a nà jatt Rit. E mo c n jàmm …
(Traduzione: Quante me ne ha fatte quest’anfora brutta fatta, mi è venuta dietro come una gatta. (rit.) Ed ora ce ne andiamo …).
Alle maitunat antiche si affiancano quelle convenzionalmente definite “semimoderne”. Il cambiamento, più che nei temi e nelle finalità, è soprattutto nelle parole e nella musica. Anche se ancora precostituite, c’è una mutazione dell’intera struttura ritmica e del contenuto delle strofe. Per tutta questa fase si continuano a praticare anche le c.d. “maitunat antiche” segno del non incisivo cambiamento che le ha caratterizzate.
I Maitunat improvvisate.
Diversamente dalle precedenti, i Maitunat improvvisate esprimono un cambiamento molto più radicale del modo di comporre, interpretare e accompagnare musicalmente i maitunat. Il “nuovo” stornello, composto di due strofe a rima baciata, era in uso già dai primi del 1900 e si tramandano ancora alcune Maitunat degli anni trenta del ’900 rimaste famose tra la popolazione.
La stessa opera di ricerca, raccolta e archivio effettuata da questa Associazione con interviste ad anziani cantori di maitunat conferma che, quella improvvisata, era una maitunat già in uso che si è, nel tempo, affiancata a quelle precostituite fino a quasi sostituirle nel secondo dopoguerra.
Un evento che segnerà fortemente tutta la vita di Gambatesa ed anche le stesse maitunat è la costituzione, negli anni ‘30 del 1900, di una Banda Musicale con il conseguente avvio allo studio della musica di gran parte dei giovani del paese. Tale evento sarà foriero di importanti conseguenze con sviluppi del tutto peculiari che, ancora oggi, contraddistinguono Gambatesa I maitunat si rinnovano, dunque, in tutti i loro elementi e caratteristiche: musica, ritmo, interpretazione, scopo, significato e metrica, pur restando fedeli a se stesse nella natura e nello spirito.
L’elemento dell’improvvisazione delle parole dello stornello su forme musicali statiche e precostruite rende i maitunat qualcosa di costantemente nuovo: ogni maitunat è qualcosa di unico e originale, ogni maitunat diventa una gara tra cantori a chi riesce, con sagacia e ironia, a cogliere il sorriso e il favore del pubblico. Diretta conseguenza ne è stata la difficoltà dell’interprete di cercare la giusta coppia di rime che, oltre a avere corrispondenza metrica e letterale, deve anche essere divertente e pungente in modo da suscitare l’approvazione dello spettatore. Il cantore, infatti, non deve più limitarsi a scegliere la maitunat più adatta tra un ventaglio di opzioni già precostituite, ma deve egli stesso introdurre l’argomento e improvvisare sul medesimo ricorrendo a tutta la sua fantasia pur di riuscire a colpire nel segno. Di conseguenza, con l’introduzione dell’estemporaneità, le nuove maitunat danno luogo ad una severa selezione tra gli interpreti: non basta più avere una bella voce ed una discreta presenza scenica per cantare una maitunat, bisogna avere il lessico dialettale adatto a trovare le rime, la capacità di scovare aspetti nascosti del destinatario della maitunat, nonché, la prontezza di coniugare tra di loro proverbi, termini “rustici”, doppi sensi e, soprattutto, la conoscenza degli avvenimenti più importanti avvenuti in paese nel corso dell’anno.
Ogni maitunat è preceduta dal c.d. “ritornello”: un motivetto di nove misure in tempo ternario (3/4) suonato da tutti i componenti della “squadra”, ripetuto due volte, con la funzione di introdurre la maitunat. Successivamente, il cantore si esibirà nel tradizionale canto supportato da una base ritmico-melodica, simile al “ritornello”, sulla quale il cantore improvviserà due strofe. Entrambe le strofe (se interpretate in maniera esatta) sono formate da una coppia di endecasillabi in rima baciata, più la ripetizione dell’ultima strofa in coro con tutta la squadra per chiudere la maitunat.
Se anticamente lo sfottò avveniva solo e unicamente tramite il c.d. doppio senso delle parole, adesso è possibile far riferimento agli accadimenti in modo più diretto e senza l’ausilio di frasi fatte che esprimono solo la morale lasciando, quindi, sottinteso l’episodio al quale il cantore voleva riferirsi. La possibilità di improvvisare rime, di poter scegliere i destinatari de i maitunat e l’argomento delle stesse ha fatto si che ogni edizione de I maitunat sia diventata il racconto della vita dei fatti, dei personaggi e del paese Gambatesa.
Ogni capodanno a Gambatesa non è mai uguale a se stesso e non è una mera esibizione o sfilata di gruppi perché è sempre unico e originale giacché racconta la vita vissuta del paese.
E’ proprio l’estemporaneità e l’improvvisazione ad aver caratterizzato indelebilmente i maitunat di Gambatesa conferendo loro una specificità del tutto unica nel panorama musicale molisano. Il forestiero resta, infatti, stupito dalla capacità degli autori di trovare delle rime che, allo stesso tempo, siano esatte, divertenti, convincenti, frizzanti e significative.
Da rilevare che anche la composizione delle squadre è di molto cambiata rispetto ad alcuni decenni addietro sia per quanto riguarda il numero dei partecipanti, sia per quanto attiene agli strumenti musicali utilizzati. I gruppi sono molto più numerosi e, grazie ad una fiorente tradizione bandistica, sono stati integrati da strumenti a fiato di tutte le categorie (ottoni e legni) dando alla squadra un timbro sonoro completamente nuovo e originale.
Una data parimenti importante per le maitunat è il 1965 quando si è affiancata all’esibizione spontanea della notte di San Silvestro una manifestazione pubblica più strutturata e organizzata che si svolge nel pomeriggio del primo gennaio. In quell’occasione le squadre e i cantori danno il proprio meglio eseguendo brani musicali, spesso inediti, e cantando maitunat studiate per l’occasione alle quali devono, necessariamente, affiancarne altre da improvvisare su argomenti estratti a sorte proprio durante la manifestazione.
Per completezza, bisogna rilevare che nell’ultimo decennio del XX° secolo si è registrato un considerevole calo demografico di Gambatesa pari a quasi il 30% della popolazione. Gambatesa conta oggi meno di 1500 abitanti che possono essere considerati una soglia critica per la sua stessa autentica sopravvivenza. Abbozzando un’analisi sociologica si potrebbe dire che le nuove generazioni, distratte da una società sempre più consumistica e stereotipata, subiscano il menzognero fascino del mondo finto e irreale creato dai mass-media tralasciando, invece, antiche tradizioni che, tutt’altro che polverose o noiose, consentono un divertimento forte e sano allo stesso tempo. Restando in tema, c’è anche da registrare che viviamo in una società certamente più disincantata e meno puritana, ad esempio: solo qualche decennio fa’ le ragazze tremavano all’idea che una squadra di capodanno arrivasse a casa loro spifferando, sempre sotto forma di maitunat, tutte le loro amicizie più intime o i loro movimenti nascosti, mentre oggi la situazione è certamente cambiata. In passato si creava, così, una forte attesa in quanto il Capodanno era l’unico momento per rivelare quanto era nascosto o celato in virtù della consolidata tacita immunità concessa solo in quell’occasione.
Le maitunat di Gambatesa, sviluppo
Nulla resta immutato nel tempo e tutto è destinato a crescere e svilupparsi, pena l’estinzione. Lo stesso sviluppo è, infatti, la migliore dimostrazione della vitalità e della vigoria di quanto oggetto di esame ed è indubbio, anche per questo, che i maitunat di Gambatesa si distinguono da quelle di molti altri Comuni molisani. Sicuramente sono frutto di estro e di improvvisazione, sono sempre diverse, non vertono mai sugli stessi argomenti e godono di una musicalità e di un supporto strumentale senza pari. Come già detto, Gambatesa, fin dagli anni ‘30 del 1900 ha avuto un consistente gruppo bandistico che, nel corso degli anni, ha formato moltissimi musicisti, tanti dei quali si sono diplomati al Conservatorio e hanno dato vita a ben due complessi bandistici. È questo un fatto molto significativo e caratterizzante se consideriamo che il numero degli abitanti si è sempre aggirato intorno ai 2000. Non vi è gambatesano che non sia in grado di suonare egregiamente uno strumento musicale tanto che ad elencarli tutti risulterebbe più semplice enumerare quanti non ne siano in grado.
La musica è parte integrante di tutte le generazioni ed è frequente incontrare molti ragazzini in grado di suonare il classico organetto diatonico: testimonianza anche questa della perizia nell’arte musicale dei gambatesani che non li ha allontanati dalle tradizioni, ma li ha rafforzati in questo legame. Sostenere, come fanno alcuni, che affiancare all’organetto e al bufù un clarinetto o un sassofono possa equivalere a un tradimento appare, francamente, del tutto pretestuoso e irragionevole. Tali innesti strumentali sono, infatti, la naturale espressione di un popolo che affianca e accompagna con tutto quello che ha di prezioso una manifestazione che ama e che sente propria. Non sono stati imposti da una fantomatica organizzazione turistica, ma è una esigenza sorta dal basso con la stessa naturalezza e spontaneità che accompagna le vere maitunat. La forza di un popolo si riconosce quando è in grado di mettere a frutto tutte le sue ricchezze mostrandosi pieno di risorse. Un popolo che, invece, non mostra le proprie arti e le proprie virtù è, senza dubbio, un popolo più povero e meno vitale.
I gambatesani custodiscono un tesoro, la musica con la capacità di comporre, con estro, degli stornelli. Il naturale e fisiologico sviluppo de i maitunat ha consentito loro di crescere, di arricchirsi e di continuare nel tempo: le antiche modalità espressive sono puntualmente ricercate e valorizzate da ogni squadra e, riscontrando che in nessun luogo le maitunat godono di così vasta diffusione, attraversando tutte le generazioni, i ceti e i sessi, si può serenamente affermare che Gambatesa sia la vera custode di questa tradizione.
Tutta Gambatesa sente nel più profondo del suo essere lo spirito delle maitunat. Ogni occasione è buona per rinnovarlo e non vi è gambatesano emigrato lontano dalla sua terra che non si commuova al suono del ritornello. Chi, invece, si ostinasse a non comprendere tale realtà potrebbe ritrovarsi nel personaggio della antica maitunat che canta di un uomo assediato e soffocato dal suo atteggiamento di chiusura: cioccar ‘nfurmcut, n’furmcat, pur i furmik t’hann ‘s_diat… E mò c n’ jàmm cantin cantenn t’ lass nù bbondì buon capdann’
Concludendo, Gambatesa è, allo stesso tempo, consapevole che la musica non ha confini e non può essere rilegata al territorio di un solo Comune. Molti sono, infatti, i Comuni che, a ben ragione, vantano la stessa tradizione. Ognuno di questi, al pari di quanto avvenuto a Gambatesa, ha finito per caratterizzarla secondo modalità sue proprie ed ognuno, quindi, ha contributo a mantener viva la tradizione arricchendola con quanto aveva nel suo patrimonio. Chiunque abbia vissuto, anche solo una volta, i maitunat ha sperimentato che, in quella notte, si appianano tutte le differenze e le rivalità e che si può ridere anche delle antiche ruggini. È questo lo spirito de i maitunat ed è questo il loro messaggio che, nostro tramite, vogliamo lanciare a tutti e, soprattutto, a quanti amano, coltivano e cantano i maitunat ovunque essi si trovino.
I maitunat di Gambatesa quale tradizione tipica del territorio molisano, ci congediamo con le parole di un antico ritornello …e mò c n’ jàmm cantin cantenn, t’ lass nù bbondì buon capdann’
Gambatesa, 11/12/2015
Il Presidente
Dr. Giovanni Carozza